I. 2. Il sistema mesopotamico

 

Plimpton 322

 

Sulla matematica mesopotamica disponiamo di una documentazione molto più vasta che su quella egiziana, grazie ai diversi materiali usati per la registrazione di leggi, tasse, leggende, lettere ed altri documenti: non più fragili papiri, ma solide tavolette di argilla cotte al sole o in forni. Tuttavia, nonostante la grande quantità di materiale, fu la scrittura geroglifica egiziana, e non quella cuneiforme babilonese, ad essere decifrata per prima dagli studiosi moderni. Bisogna quindi aspettare la metà del XX secolo per riconoscere qualche progresso nella lettura della scrittura babilonese, soprattutto nel campo della matematica.
Centinaia di tavolette di creta trovate a Uruk e risalenti a circa 5000 anni fa testimoniano della forma più antica di scrittura usata in Mesopotamia. A tale data la scrittura ideografica aveva raggiunto lo stadio di forme stilizzate convenzionali per indicare le cose, come delle onde per indicare l'acqua. Gradualmente il numero dei segni andò riducendosi, cosicché dei circa 2000 segni sumerici originariamente usati ne erano rimasti solo un terzo al tempo della conquista accadica. Disegni primitivi cedettero il posto a combinazioni di segni cuneiformi.
In un primo tempo gli scribi seguivano un tipo di scrittura verticale dall'alto in basso su colonne disposte da destra a sinistra; più tardi, per comodità, si girò la tavoletta in senso antiorario di 90° e la scrittura risultò così procedere da sinistra a destra su righe orizzontali dall'alto in basso.
Dapprima si usò uno stilo a forma di prisma triangolare, che più tardi venne sostituito da un altro costituito da due cilindri di diverso raggio. Agli inizi della civiltà sumerica, con l'estremo dello stilo più piccolo si tracciava un segno verticale per rappresentare 10 unità e un segno obliquo per indicare l'unità; analogamente, un segno obliquo fatto con lo stilo più grande rappresentava 60 unità e un segno verticale 3600 unità. Per rappresentare numeri intermedi si ricorreva alla combinazione di questi segni. Così, il numero 5112 era espresso in questo modo

Migliaia di tavolette risalenti al periodo della dinastia degli Hammurabi (1800-1600 a.C. circa) illustrano un sistema di numerazione ormai consolidato. Il sistema decimale era stato sostituito in Mesopotamia da una notazione che aveva a fondamento la base sessanta.
La numerazione cuneiforme babilonese seguiva lo stesso procedimento della numerazione egiziana, basato sulla ripetizione dei simboli indicanti le unità e le decine: ciò era sufficiente per esprimere numeri interi piccoli. Le difficoltà sorgevano nel rappresentare numeri grandi, a causa delle eccessive ripetizioni. Questi problemi furono risolti dai babilonesi con l'invenzione della notazione posizionale: i simboli potevano avere valore doppio, triplo, quadruplo, e così via, semplicemente attribuendo a essi valori che dipendevano dalla loro posizione relativa nella rappresentazione di un numero. Una appropriata spaziatura tra gruppi di cunei può distinguere posizioni che, lette da destra a sinistra, corrispondono a potenze crescenti della base: ciascun gruppo ha allora un "valore locale" che dipende dalla sua posizione. Quando scrivevano , separando chiaramente i tre gruppi formati ciascuno da due cunei, intendevano significare con il primo gruppo a destra due unità, con il gruppo successivo il doppio della loro base e con il gruppo a sinistra il doppio del quadrato della loro base, cioè 2(60)² + 2(60) + 2. Sembra che in un primo tempo i babilonesi non disponessero di un metodo chiaro per indicare una posizione vuota: non possedevano nessun simbolo per indicare lo zero, anche se talvolta lasciavano uno spazio vuoto. Tuttavia, ai tempi della conquista di Alessandro il Grande si disponeva di un segno speciale, consistente in due piccoli cunei disposti obliquamente. A quanto pare, però, il simbolo usato dai babilonesi per indicare lo zero non pose fine a tutte le ambiguità, poiché sembra che tale segno venisse usato solo per indicare posizioni vuote intermedie. Ciò vuol dire che i babilonesi dell'antichità non giunsero mai a un sistema le cui cifre avessero un valore posizionale assoluto. La posizione era solo relativa: il simbolo poteva rappresentare 2(60) + 2, oppure 2(60)² + 2(60), o 2(60)³ + 2(60)² e via di seguito.

Il segreto della netta superiorità della matematica babilonese rispetto a quella degli egiziani sta nel fatto che i primi ebbero l'idea di estendere il principio posizionale anche alle frazioni oltre che ai numeri interi. Quindi, la notazione veniva usata non solo per indicare 2(60) + 2, ma anche 2 + 2(60) o per 2(60)+ 2(60) o per altre espressioni frazionarie composte da due basi frazionarie successive. Ciò significava che i babilonesi disponevano di un sistema di notazione che comportava una capacità di calcolo pari a quella della moderna notazione frazionaria decimale.

Per avere informazioni su alcuni aspetti della matematica mesopotamica si può accedere al sito Matematica mesopotamica [8].

Possiamo anche studiare il Sistema di numerazione metrologico sumero [9] ed osservare come si è passati da un sistema di misurazione relativo a diverse grandezze fisiche (pesi, lunghezze, ecc.) al sistema cuneiforme posizionale.